L’assassinio di Robert Kennedy
«Perduta una grande speranza. America in lutto: Kennedy è morto»
L’assassinio di Robert Francis Kennedy è avvenuto poco dopo la mezzanotte del 5 giugno 1968 presso l’Hotel Ambassador di Los Angeles. Kennedy, senatore per lo Stato di New York nonché fratello dell’ex Presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, era nel mezzo della propria campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 1968.
Dopo il discorso di saluto, mentre Kennedy veniva fatto allontanare dall’hotel attraverso un passaggio delle cucine, alle 00:15 vennero esplosi colpi di pistola contro di lui sotto gli occhi dei reporter e dei teleoperatori che lo seguivano. Ira Goldstein, Paul Schrade, William Weisel, Richard Lubic ed Elizabeth Evans rimasero feriti in maniera più o meno grave; Schrade e la Evans alla testa. Per lo più si trattava di personale o di invitati.
Il 6 giugno 1968, in seguito alle ferite riportate nell’attentato del giorno precedente, muore Robert Kennedy.
Kennedy morì al Good Samaritan Hospital, dove era stato trasportato subito dopo il ferimento, all’alba del 6 giugno. Aveva 42 anni. Le sue ultime parole, pronunciate subito dopo essere stato colpito e appena prima di perdere conoscenza, sono state: «E gli altri? Come stanno gli altri?».
L’assassino, reo confesso, fu subito arrestato e poi condannato. Si trattava di Sirhan B. Sirhan, cittadino giordano, che motivò il suo gesto come ritorsione per il sostegno di Kennedy a Israele nella guerra dei sei giorni, iniziata un anno e un giorno prima dell’attentato.
«Robert Kennedy è caduto vittima del coraggio morale, della sua fede illimitata nell’umanità, del suo stesso disarmato candore. Toccherà alla magistratura americana – se ci riuscirà – appurare che ha armato quella mano: se la causa di un fanatismo lontano o quella di un’intolleranza e di una discriminazione domestica. Ci auguriamo, da amici dell’America quali siamo, che prevalga la prima e oggi più accreditata ipotesi, che la follia panaraba appaia come l’unica o almeno la principale causa dello spaventoso delitto che offende tutta l’umanità, che degrada tutto il mondo civile […] e le grandi parole cui si ispirarono entrambi i Kennedy e per le quali entrambi offrirono la propria vita, la libertà, la giustizia sociale, l’eguaglianza razziale, vengono derise e umiliate in nome di mitologie e di estremismi che negano la radice stessa dell’uomo, quel segno di Dio che si prolunga in ognuno di noi»
Il passato è la memoria del presente.
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Il Corriere della Sera di venerdì 7 giugno 1968
«C’è un solo modo per superare l’infamia di Los Angeles: far sì che quelle parole tornino a regolare i rapporti fra gli uomini, la convivenza fra gli Stati, la tolleranza di tutte le razze. Secondo la suprema intuizione del cristianesimo. Ancora insuperata ma sempre tradita e dimenticata»
Redazione del Corriere della Sera
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«La cosa essenziale del giornale è il fatto che è in grado di ordinare e organizzare il mondo che ci entra in casa. L’arte di fare un giornale, infatti, consiste nel non riflettere semplicemente e passivamente la realtà, ma nel darle una forma. Giornale è sinonimo di ordine e di regolarità. Altrimenti non avrebbe senso. Questo ordine viene prodotto e stabilito ogni giorno, sempre di nuovo. E così, la mattina alle sette, il mondo può tornare a essere in ordine. E dopo la nostra lettura il caos può nuovamente fare la sua irruzione»
Wilhelm Schmid, La pienezza della vita, 2006